Ep. 4/ Le relazioni con la propria storia
Ritrovarsi anche nei ricordi.
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Ognuno di noi porta dentro di sé un archivio vivo di ricordi, emozioni e immagini che continuano a influenzare il presente.
La relazione con la nostra storia personale è una delle più profonde e, spesso, una delle più difficili da affrontare.
La nostra identità infatti si nutre anche del dialogo costante con il passato e con i ricordi: ogni esperienza passata, anche se apparentemente dimenticata, continua ad agire in noi.
Sigmund Freud, fondatore della psicoanalisi, ci ha mostrato come i vissuti infantili non scompaiano mai davvero, ma vengano conservati nell’inconscio e possano riaffiorare sotto forma di sintomi, sogni, lapsus o comportamenti ripetitivi. In questo senso, siamo sempre in relazione con la nostra storia: ciò che non viene elaborato ritorna, spesso travestito, nelle relazioni e nelle scelte della vita adulta.
Ep. 4/
LE Relazioni CON LA PROPRIA STORIA
ELABORARE I RICORDI
Elaborare i ricordi significa allora riconoscere il filo che li lega al presente, dare loro un senso nuovo e permettere che diventino risorsa invece che ostacolo. La psicoanalisi ci insegna che il lavoro terapeutico è proprio questo: trasformare ciò che è stato in qualcosa di pensabile e integrabile, così che non sia più una zavorra inconscia ma un elemento costruttivo della nostra identità.
Nella psicologia relazionale contemporanea, autori come Stephen Mitchell e Daniel Stern hanno ulteriormente ampliato questa prospettiva. Mitchell (1946-2000), psicoanalista statunitense, è stato uno dei principali esponenti della relational psychoanalysis: ha sottolineato come il Sé non sia mai isolato, ma prenda forma e senso solo all’interno delle relazioni. Per Mitchell, la nostra storia personale è una trama di legami e significati costruiti nel dialogo costante con gli altri.
Daniel Stern (1934-2012), psichiatra e psicoanalista infantile, ha approfondito invece lo sviluppo precoce del Sé nei bambini, mostrando come fin dai primi mesi di vita l’identità si costruisca attraverso micro-interazioni con le figure di accudimento. I suoi studi hanno evidenziato che la memoria affettiva, pur non essendo sempre consapevole, resta impressa nel corpo e nella psiche, orientando il modo in cui viviamo le relazioni da adulti.
In altre parole, siamo sempre il risultato di ciò che abbiamo vissuto e di come lo abbiamo interiorizzato.
I nostri ricordi, anche quelli non coscienti, ci accompagnano come interlocutori silenziosi: possiamo restarne intrappolati, se non trovano parola e significato, oppure possiamo trasformarli in strumenti di consapevolezza e di crescita.
Riconoscere la relazione con la propria storia significa accettare che il passato non è qualcosa da cancellare, ma da comprendere e trasformare.
Ogni ricordo, anche quello doloroso, può diventare una chiave per interpretare il presente e costruire nuove possibilità.
Quando impariamo a dialogare con la nostra memoria – senza restarne prigionieri né rinnegarla – entriamo in contatto con la continuità profonda della nostra identità.
Solo allora il passato smette di essere un peso e diventa una risorsa: una trama di esperienze che ci restituisce coerenza, senso e libertà di evolvere.